Dataismo
Francesco Nicodemo, L'Unità. |
A mio avviso il filosofo coreano prende un abbaglio. I dati non ci danno la possibilità di predire il futuro. Pensare ai big data come a una nuova ideologia, dittatura dei dati, totalitarismo digitale, il “dataismo”, è sì divertente ma completamente lontano sia dalla realtà (di chi si occupa di big data), sia filosoficamente. Perché il nuovo linguaggio digitale non è nato una mattina dalle menti perverse di un dittatore panoptico post moderno.
Come tutti i linguaggi, l’oralità, la matematica, la scrittura, nasce a causa di una esigenza primaria dell’umanità che, vedendo il mondo cambiare e moltiplicarsi, nelle sua multiformità, tra cui quella della conoscenza, non riesce più a leggerlo, capirlo, interpretarlo, cercare di gestirlo con i precedenti strumenti del sapere. Così ne cerca altri. A un mondo sempre più complesso diventa necessario un linguaggio più complesso che cerchi di comprenderlo o almeno raccontarlo.
Siamo diventati 7 miliardi e mezzo nel giro di pochi decenni, crescendo con una progressione fino a poco fa inimmaginabile.
I big data non sono un’ideologia predittiva totalitaria, che sciocchezza! La verità è che arranchiamo così tanto nella comprensione e nel racconto della complessità, da averne un tale sgomento, che il nuovo linguaggio digitale è il compagno creato a nostra immagine e necessità. Di sopravvivenza. Come sempre, del resto.
E’ lo sforzo tutto umano di cercare di catalogare, classificare, afferrare la realtà, che invece ogni volta si espande, si moltiplica, si squaderna e noi insieme ad essa moltiplichiamo linguaggi, strumenti e orizzonti di conoscenza.
Commenti
Posta un commento